All’inizio
del XIX secolo il modo di vivere era molto diverso da quello attuale.
Non
esisteva il “pret a porter”; solo i nobili ed i ricchi potevano permettersi il
lusso di acquistare un abito confezionato, esclusivo, perché sarebbe stato
imbarazzante, specialmente per una donna, incontrare nello stesso luogo, una
con l’abito uguale al suo.
La
maggior parte delle persone acquistava il tessuto da un rigattiere e, per la
confezione si rivolgeva ad un sarto da uomo, oppure ad una delle tante sardine
più o meno abili che esistevano in ogni paese.
Erano
molte, perché quello della sarta, assieme a quello della ricamatrice, della
domestica e della lavandaia, era il solo lavoro consentito ad una donna al di
fuori della famiglia.
Durante
la guerra, trovare un buon tessuto era praticamente impossibile.
Mia
madre, sfruttando le sue conoscenze, riuscì ad acquistare un “taglio” di lana
blu, destinato alle divise dei carabinieri e con quello mi confezionò un
capotto che non era perfetto ma che, indossato da una ventenne, faceva bella
figura.
Con un
capotto così non potevo calzare scarpe marroni per giunta un po’ scalcagnate: occorrevano
scarpe nuove e in tinta.
Nella
vetrina di un negozio nel centro di Padova ce n’era un paio che si adattava
bene alle mie esigenze: aveva il tacco alto e la tornaia di pelle blu,
ingentilita da un inserto grigio perla. Costava quindici lire.
Per più
di un mese rinunciai a tutte le spese che non erano assolutamente necessarie,
come la bottiglietta di “gazzosa” dopo una passeggiata con gli amici o qualche
biglietto del tram per spostarmi in città.
Quando
ebbi raggranellato la somma necessaria per l’acquisto inforcai la bicicletta,
pedalai per quindici chilometri e mi recai al negozio di calzature.
La
vetrina non era cambiata e le scarpe erano tutte al solito posto; di cambiato
c’erano solo i cartellini dei prezzi.
Le
scarpe che avevo tanto desiderato ora costavano quindici lire e cinquanta
centesimi, e io i cinquanta centesimi non li avevo proprio.
Girai la
bicicletta e tornai a casa delusa ed avvilita: i quindici chilometri mi parvero
trenta!
Molti
anni dopo raccontai l’episodio ad uno dei miei nipoti che, nonostante la crisi,
aveva molto più del necessario e lui mi chiese il perché non fossi entrata e
non le avessi chiesto di farmi uno sconto.
Non
aveva tutti i torti, ma io con alterigia risposi che la dignità vale di più di
un paio di scarpe!
Evidentemente
non è cambiato solo il modo di vivere, ma anche il modo di pensare e di
affrontare la realtà. Pensa Vera, regalandomi questo suo ricordo che io ho
scoperto già da sua figlia mesi e mesi fa.
Adesso
sono molto contenta di scriverlo e dare a leggere a tutti i figli di Vera, che
brilla come il sole.
Infatti,
Vera, vestita con la sua maglietta rossa, è molto attraente. Sembra una bella
ragazza e non ha per niente bisogno di belle scarpe. È già bella dentro e
fuori.
Ed io mi
meraviglio sempre quando la vedo.